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La fabbrica è aperta ai movimenti della cultura

Chi porta la cultura nelle aziende può prevedere un immediato contributo al mondo dello spirito da parte degli stessi uomini che nelle aziende vivono: come avviene questo scambio? Quali sono i mezzi che la favoriscono? Quali sono i centri culturali più attivi?

 

Quali sono le esperienze fatte o in corso nelle diverse fabbriche, nei diversi stabilimenti del nostro Paese, dove i problemi del rapporto fra comunità di fabbrica e cultura sono eseguiti e affrontati? Pubblichiamo questa inchiesta per trarre un bilancio, sebbene il compito sia oltremodo arduo. In mancanza di dati complessivi, panoramici (poiché non esiste finora alcun ente o centro di raccolta statistica, né alcun ente coordinatore fra i vari centri culturali delle aziende) è necessario seguire ancora una volta la tecnica del sondaggio. Esporre cioè i dati relativi ad un gruppo di aziende, di grandezza e dislocazione diverse, e da questi dati ricavare una serie di osservazioni, pure in via provvisoria. Un punto ancora tuttavia deve essere ricordato. Le aziende prese in esame sono diverse fra loro ma hanno in comune la caratteristica di trovarsi in questo settore all’avanguardia; indicano tendenze ma non possono certo essere riferite ad una media. […]

 

Pirelli
Le attività e gli scopi del centro culturale Pirelli sono noti in complesso ai lettori di questa rivista che ne dette già ampio ragguaglio attraverso un articolo del direttore, Silvestro Severgnini. L’articolo aveva un bellissimo titolo: «La cultura come il pane». Prima di sostenere una tesi esprimeva un atteggiamento, la cultura al di là del fatto intellettualistico, come un bisogno che si può quasi tradurre, al pari di tutte le cose umane, in misura fisica. Si parla spesso di nutrimento spirituale per indicare una cultura che può diventar vita, germogliare in chi l’assorbe, ma il caso è diverso quando l’accostamento è fatto tra una cultura e un pane che viene dalla quotidiana necessità del lavoro.

Severgnini narrava come incominciò il Centro culturale Pirelli. Un gruppo di dipendenti che si incontravano a mensa, appassionati di certi argomenti che cercavano di approfondire. A poco a poco gruppo crebbe, si creò un’organizzazione embrionale perché qualcuno riferisse su un libro o un film che aveva letto o visto, e se ne potesse discutere con ordine. Vi fu qualche gita collettiva a pinacoteche, a spettacoli, un enorme passo avanti fu fatto quando si scoprì che, formando un gruppo omogeneo, si potevano ottenere molte facilitazioni: riduzioni dei biglietti d’ingresso, assistenza nelle visite, abbonamenti, ecc. La ditta dal canto suo appoggiò con larghezza e senza riserve l’iniziativa. Oggi il gruppo Pirelli è un fatto molto importante non solo per la propria proporzione, ma per il contributo diretto che esso dà sostenendo alcune attività artistiche e teatrali cittadine.

Si pensi: nel 1952 il gruppo ha dato complessivamente 12.495 presenze alle stagioni liriche e concertistiche organizzate da vari enti, con queste voci: 425 abbonamenti ai concerti del Teatro alla Scala, 118 abbonamenti ai pomeriggi musicali, 114 abbonamenti al Teatro del Popolo. Le presenze ai concerti organizzati direttamente dal Centro nella sede del Piccolo Teatro sono state 2565. Nel campo della prosa le presenze sono state 18.303, ai più notevoli spettacoli apparsi sulle scene milanesi, e per i quali erano state predisposte particolari facilitazioni. Gli abbonamenti a un ciclo di spettacoli del Piccolo Teatro sono stati 2013, e questa è forse la cifra più significativa poiché corrisponde al tutto esaurito di una serie di rappresentazioni dedicate esclusivamente ai pirelliani, che ebbero effettivamente in esclusiva alcune anteprime (l’ultima fu quella di «Un caso clinico» di Buzzati, alla chiusura di questa stagione). Il Centro culturale Pirelli è dunque per le sue proporzioni un fatto della cultura cittadina, anche se la città è una metropoli di 1 milione e 300 mila abitanti.

Ancora dati: per la musica furono organizzate, nel 1952, 15 riunioni preparatorie per concerti e spettacoli di particolare interesse. Il Centro ha presentato e fatto eseguire per i propri aderenti proiezioni di film, raggruppati in cicli, registrando 53.940 presenze. I cicli riguardavano determinati problemi umani e sociali e i singoli film sono stati presentati da tecnici e critici i quali ne hanno illustrato di volta in volta la regia, lo stile, il linguaggio, il significato. A 15 riunioni sulle lettere e l’attualità hanno partecipato 2025 pirelliani, che ricevettero fra loro alcune fra le personalità più note del nostro tempo. Su alcuni lavori teatrali sono state tenute prolusioni e dibattiti, con l’intervento di attori e registi; uno speciale ciclo di conferenze e letture è stato dedicato alla storia del teatro. Per le arti figurative, il Centro ha intensificato una delle sue attività più caratteristiche: viaggi e visite a mostre e raccolte, itinerari artistici che si sono spinti sulle tracce dei più grandi creatori nelle diverse regioni italiane e in molti paesi stranieri. L’anno scorso si sono avute 18 riunioni e dibattiti relativi a 12 viaggi e visite di questo genere, con 3729 presenze di pirelliani.

Il Centro raccoglie regolarmente tutti questi dati, che vengono aggiornati di mese in mese, allo scopo di conoscere quali reazioni e quale attrattiva eserciti ogni attività. Per il 1953 i diagrammi di tutte le frequenze sono in ascesa, e questo deriva sia dalle crescenti possibilità del centro sia dalla formula delle diverse iniziative, già collaudata negli scorsi anni. Si noterà che mancano completamente le attività dirette; a esempio una filodrammatica, concorsi di lettere o di pittura. Il Centro è ordinato esclusivamente al fine di mettere a contatto i dipendenti dell’azienda con le sedi naturali di queste attività, e non per sostituirsi a esse. Mancano parimenti le attività didattiche, i corsi regolari di qualsiasi specie, con una sola eccezione: quello di storia del teatro, nato però in un’atmosfera particolare per l’esigenza di riordinare una vasta esperienza fatta in questi anni.

Il Centro ha la sua ragione di essere nella formula che lo ha fatto nascere, e che lo ha reso indispensabile a una gran parte dei 20 mila pirelliani, mentre i vecchi fedelissimi ne rappresentano come le antenne, il nucleo sostenitore, attorno a Severgnini. Esso resta soprattutto un ponte, uno strumento comune per seguire la vita culturale nei suoi aspetti più attuali, quotidiani, per sincero desiderio di cogliere l’essenza più alta del nostro tempo. Essere aggiornati, aiutarsi reciprocamente a esserlo mettendo in comune mezzi, conoscenze, le stesse idee. Nulla si realizza senza una adeguata preparazione, che serve prima a inquadrare e poi a discutere. E nel particolare ambiente coloro che in altre circostanze non oserebbero accostarsi a certe cose classificate fra le più raffinate e astruse riescono a interessarsene, riescono a esprimere il loro sentimento e il loro giudizio. Il proselitismo del Centro è fondato su questo superamento psicologico, non meno che sulle facilitazioni tecniche ed economiche offerte.

Né accademia, né scuola, dunque, che respingono – osserva Silvestro Severgnini – chi è legato già allo schema di un’attività lavorativa quotidiana; ma accostamento, di volta in volta, e con la maggior preparazione possibile alle manifestazioni culturali. Sarebbe tuttavia un errore pensare che questo avvenga in modo puramente casuale, seguendo l’estro di un’occasione o di un’altra. La funzione di un centro culturale aziendale deve essere quella di andare incontro ai bisogni dei propri aderenti su questo terreno, cercando di ricondurli a mano a mano a fondamenti più organici. Seguire una serie di concerti o di spettacoli implica già qualcosa che si può definire come una evoluzione, uno sviluppo di conoscenze e di sensibilità legate coerentemente. Il resto viene dallo sforzo comune, nella vita del centro, e specialmente attraverso i dibattiti, di cogliere significati e legami delle diverse manifestazioni; servirsi di una scoperta per raggiungerne un’altra, e così via. Il ponte funziona, e ne deriva una sensibilità, orientamenti in cui si possono rintracciare caratteri singolari, una volta scomparso quel complesso di inferiorità che troppo spesso chiude agli uomini delle fabbriche i valori dell’arte. È stato osservato, a esempio, come un operaio, il più semplice operaio, può identificarsi con l’artista che ha creato un’opera d’arte, penetrare veramente nella sua creazione, attraverso l’intuizione del travaglio fisico che essa è costata.

È la facoltà di sentire ciò che l’artista sembra talvolta trasmettere come un messaggio dell’assoluto, e ciò che viene conquistato invece attraverso un’applicazione anche estenuante, esasperante. Insieme a questo, la facoltà di penetrare con facilità nei valori dell’astrattismo. Dopo una visita alla Biennale veneziana alcuni pirelliani cercano di spiegare tutto l’astrattismo come la sublimazione di un contrasto fra la natura umana e il potere delle macchine, la solidificazione di una sofferenza tra l’uomo e le cose. Questo fu detto forse con sforzo, ma era senza dubbio una interpretazione originale, così come è parsa singolare (eppure non isolata, alla Scuola di Arzignano è avvenuto lo stesso) la facilità di collegare direttamente il Settecento musicale con la musica contemporanea, Hindemith e Stravinskij sono stati accettati senza sforzo.

Esclusi invece dall’attività del Centro corsi di tecnica e di perfezionamento in senso professionale, salvo qualche accenno ai progressi della scienza a beneficio dell’umanità. Corsi come quelli indicati possono essere molto utili, ma escono dal quadro di un’attività culturale che deve essere libera da preconcetti utilitari, proprio per rivolgersi ai valori essenziali dell’uomo. Severgnini raccontava di certe serate al Piccolo Teatro della Città di Milano, durante le quali si trovavano a fianco a fianco, e senza preconcetti, dirigenti, impiegati, operai, artisti e scrittori ospiti della Pirelli, pronti a giudicare e discutere liberamente il dramma e gli attori. Era implicito in questi incontri un senso della dignità individuale che equivale, sul piano del lavoro, al senso di responsabilità verso il proprio lavoro, più forte senza dubbio di qualsiasi controllo esteriore. La cultura può dunque liberamente contribuire a una elevazione spirituale che ha senza dubbio i suoi riflessi positivi anche nella vita della fabbrica. È logico che una grande industria, sul piano delle «human relations» aiuti simili attività, così come sopperisce in tutto o in parte ad altri bisogni dei suoi dipendenti, per esempio: la casa, l’assistenza sanitaria. […]