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Gli «scooters» o «il piacere del vento in faccia»

Un nuovo costume, quasi un «fatto sociale» nasce dall’avvento degli «scooters»: le masse ne sono affascinate e accettano con entusiasmo le leggi dell’educazione motoristica e il senso di viva solidarietà che ne deriva

 

Una delle due grandi fabbriche italiane di «motor-scooters», la «Piaggio» di Genova, festeggia in questi giorni la centomillesima macchina uscita dai suoi stabilimenti. Da Milano, e precisamente dai grandi impianti di Lambrate, la «Innocenti» comunica di essere arrivata pressappoco allo stesso livello di produzione. Seguono le altre numerose fabbriche: talune (come la «Guzzi» di Mandello) hanno cominciato soltanto ora la produzione di «scooters»; altre (come la «iso» o la «mv») aumentano continuamente e con successo la loro produzione. Tutto considerato, comunque, pur tenendo conto delle perdite subite dall’immenso esercito scoppiettante, in questi anni di furioso amore del pubblico, dovrebbero circolare in Italia attualmente circa 200 mila «scooters», e poiché recenti dichiarazioni di uomini responsabili ammettono, per il 1950, un piano di produzione di circa 150 mila unità complessive, è possibile calcolare che fra sei mesi l’Italia sarà percorsa da almeno 350 mila motorette. Cifra imponente, soprattutto nella sua progressione (rapportatela alle poche migliaia di «Vespe» che correvano timidamente le strade liguri e lombarde nel 1946): cifra che ci dà una misura approssimativa del fenomeno, nel suo aspetto tecnico e sociale.

Quest’ultimo lato del fenomeno ci interessa particolarmente. Lo «scooter» come miracolo industriale del dopoguerra italiano, è già stato sviscerato. Vorremmo chiederci ora: chi va in «scooter»? E perché? Una delle statistiche più recenti (quella «Lambretta») ci dice che il 30% degli attuali possessori di «scooters» è diviso fra impiegati e operai; il 22 fra rappresentanti e piccoli commercianti; il 15,5 fra i medici; l’8,8 fra gli altri professionisti; il 7,1 fra gli agricoltori; il 7 fra gli artigiani; il 3,4 fra gli esercenti; l’1,3 fra sportivi e studenti; l’1 fra i maestri; l’1,7 fra le categorie indeterminabili. […] Vorremmo chiedere a tutti i detentori di «scooters»: fino a che punto siete stati influenzati, nell’acquisto, da considerazioni puramente utilitarie? E fino a che punto invece hanno agito su di voi, magari oscuramente, elementi che potremmo definire fantastici se non addirittura poetici (il senso della libertà e dello spazio, per esempio, o l’apertura di orizzonti nuovi, di panorami nuovi, di interessi nuovi…)? Quanti di voi ora hanno scoperto la pesca, il bosco, i fiori, i torrenti, la natura insomma, e, perché no?, l’amore? Chi compra più «scooters»: gli uomini innamorati o gli altri? I sedentari o gl’irrequieti? Gli scapoli o gli sposati? Le fanciulle o le massaie? […]

Non scherziamo, credeteci. È molto più ingenuo di quanto non sembri il pensare che alla radice di tutti i grandi fatti sociali non esistano elementi fantastici o irrazionali. Sarebbe d’altra parte molto difficile spiegare l’enorme fortuna dei piccoli veicoli se non si tenesse conto di un mutamento repentino degli interessi spirituali dell’uomo. […]

Ma questa statistica, purtroppo, nessuno la potrà fare. Accontentiamoci perciò dei mille fatti isolati che cadono sotto gli occhi di ciascuno di noi, a dimostrare appunto tal nuova e sorprendente mutazione del costume di vita. Ci viene a mente che a Bologna, qualche settimana fa, un raduno di «vespisti» fu benedetto da un severo ed autorevole sacerdote della Curia bolognese, monsignor Casazza, il quale arrivò inforcando fieramente, a dispetto dei suoi 73 anni, una sua bicicletta a motore.
Ricordiamo, accanto a questo venerabile neofita della piccola motorizzazione, tanto per accostare due estremi, gli amanti fuggiti a bordo di «scooters» in un paesetto meridionale ed inseguiti su un altro «scooter» dal marito tradito: tutti e tre finiti in un fosso, dopo un furioso abbordaggio maritale.

In un altro paese, situato più a nord, un intero corteo battesimale fu composto di «scooters», a bordo dei quali erano levatrice, neonato, puerpera, padre e parenti. Una «Lambretta» è arrivata al Circolo polare Artico, una «Vespa» ha «sciato» sulla neve di Madesimo. E via dicendo. Il fenomeno è veramente universale.

Quali sono i limiti dello «scooter»? Dal punto di vista commerciale, non se ne vedono per il momento. La richiesta seguita ad essere superiore all’offerta, di due, tre, perfino quattro volte. Il problema è di fabbricare, non di vendere. […]

Interessanti sono, dal punto di vista dell’avvenire dello «scooter», i rapporti fra «scooter» e bicicletta da un lato e «scooter» e auto dall’altro. Si è sempre detto che lo «scooter» sarà l’assassino della bicicletta. Questa sinistra profezia non è suffragata per ora dalle statistiche. Le biciclette si fabbricano ancora in Italia a centinaia di migliaia all’anno e si calcola che ve ne siano in circolazione 7 milioni. Il morto, dunque, sta benone. Per riportare le cose su un terreno più realistico, diremo che nostra sensazione è che l’industria ciclistica sia destinata a ridurre lentissimamente la produzione: la bicicletta, però, sarà sempre il primo gradino della motorizzazione o almeno l’avvio naturale alle ambizioni locomotorie dell’uomo. Le sue sorti sono legate a due alleati: lo sport e il micromotore. E sono alleati, oggi, di straordinaria potenza. Mi si assicura che per il 1951 esiste un piano di produzione di oltre 100 mila micromotori (altra grande creatura del dopoguerra): ciò significa vita gagliarda per oltre 100 mila biciclette. Il terzo fattore vitale per la bicicletta, d’altra parte, è costituito dal livello di vita futuro della popolazione europea.

I rapporti fra «scooters» e auto sono molto meno tesi. I dirigenti dell’industria automobilistica hanno dichiarato spesso di vedere nello «scooter» più un amico che un nemico. Difatti, se è vero che molti neofiti dello «scooter» vengono da gente che in bicicletta non andava più, innumerevoli altri provengono dalle file dell’umanità che in automobile non può andare ancora. E sebbene lo «scooter» in costoro possa appagare una giovanile ebbrezza («il piacere del vento in faccia»), basterà un miglioramento della situazione economica perché la comodità prenda il sopravvento sulla scomodità. Senza contare il numero incalcolabile di persone che nello «scooter» trovano il mezzo per familiarizzarsi col motorismo, per vincere la naturale timidezza che ciascuno di noi ha provato al primo contatto con i comandi di una automobile.

A proposito di motorismo, è doveroso aggiungere che la vera nemica dello «scooter» è la cattiva educazione motoristica di tanti che lo possiedono. Gl’incidenti, talvolta mortali, si contano a centinaia: più nelle strade aperte che in città. Modificato o no, il motore dello «scooter» può sviluppare alte velocità; c’è chi ne approfitta prima ancora di sapere cosa sia velocità, cosa significhi correre all’impazzata, in curva e su strade bagnate. Il motore stesso, questo piccolo gioiello d’una meccanica raffinata, è sovente la vittima di un tirannico quanto inesperto «aficionado». Ci hanno raccontato il caso di un tale cui era stato raccomandato di marciar piano finché il motore non fosse «rodato». Tre giorni dopo la consegna della macchina, costui si presenta alla fabbrica col motore liquefatto. Indignazione dei tecnici: «Ma non le si era detto di andar piano per i primi 500 chilometri?». «Ma io sono andato pianissimo!» protesta il neofita. «Pensi che sono andato da Milano a Torino in seconda».

E così dunque, fra piccoli incidenti e grandi avventure, lo «scooter» continua la sua marcia trionfale di conquistatore di masse. Masse, evidentemente, è il termine appropriato. Il fenomeno attrae e meraviglia proprio per una sua spettacolare imponenza. Il fatto più curioso è che queste centinaia di migliaia di appassionati scooteristi manifestano la tendenza – senza dubbio giovanile – di procedere a ranghi serrati, di organizzarsi, di collegarsi. Le due massime fabbriche italiane hanno creato, come è noto, due grandi associazioni, i cosiddetti «club», legati al «centro» da un’autodisciplina zelante e infervorata, tale da mettere invidia a qualsiasi organizzazione politica. Contano ciascuna circa dieci mila aderenti. Anche da questo punto di vista, dunque, lo «scooter» è un «fatto sociale»: sono «masse mobilitabili», zone d’influenza, strumenti di propagazione di idee, di principii, di costumi di vita. Mobilitabili, fortunatamente, per la serenità e la gioia, per lo sport, per il «vento in faccia»; e non certo per la fazione e la sopraffazione.