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Emanueli

È uno dei personaggi di primo piano dell’«età dell’alta tensione»; ha permesso l’alimentazione elettrica delle grandi città, con i cavi a 132 mila, 220 mila volt, e ora a oltre 300 mila volt; quest’anno ha realizzato un ulteriore successo col cavo telegrafico transoceanico S. Vincente-Recife.

Perché si procede ancora alla posa di cavi sottomarini? Perché la radio non ha ucciso il cavo? Perché il cavo transoceanico in politene tra S. Vincente e Recife è importante per la storia delle comunicazioni a distanza e rappresenta una porta aperta sull’avvenire?

 

Ogni mattina, alle 8.15 in via Castel Morrone a Milano, un uomo alto, vestito di robusta stoffa grigia, il capo coperto da un cappello floscio a tese alzate, il viso buono e confidenziale come quello di un medico di famiglia, esce dal portone della propria casa segnato col numero 22 ed entra in un’automobile blu che lo aspetta per portarlo in fabbrica. L’auto si stacca dal marciapiede regolarmente prima delle 8.30, mai dopo, e comincia a percorrere una delle strade che convergono verso piazzale Loreto. Quindi s’infila nel tunnel nero della Stazione Centrale; poi, quando esce alla luce della periferia si rifiuta, con una curva sicura, d’infilare l’asfalto di viale Zara per raggiungere la campagna che porta agli edifici grigi, al panorama industriale della Bicocca. Il «cocchiere», dolcemente sterzando, a un certo punto l’ha spinta giù di mano, in viottoli che passano tra siepi e reti metalliche, tra rogge e cortili campagnoli. Ma il passeggero in grigio – l’uomo che permise il rifornimento ad alta tensione di New York, l’inventore del «cavo Emanueli», l’ing. Emanueli, insomma – respira di soddisfazione approvando quello che ha fatto il «cocchiere», cui non perdonerebbe mai di tirar via sull’asfalto moderno e di cercarvi i volgari piaceri della velocità e della comodità, degni soltanto di un autista moderno. Questo itinerario, percorso regolarmente da quarantasei anni e mai uscito dai limiti che la memoria affettuosa della vecchia Milano periferica gli impone, ricorda a Emanueli i tempi in cui, con un cocchiere vero e una vera vettura, faceva la spola tra la Bicocca e il Politecnico. Era un viaggio tra le siepi e la polvere, un vero viaggio allora; ma il ripeterlo quotidianamente gli aveva dato la sensazione di trasferirsi da casa a bottega; una sensazione cui, oggi, pur viaggiando a bordo di una modernissima macchina non vuole rinunciare. Così, i mutamenti di prospettive, il distendersi della periferia silenziosa, l’apparire all’orizzonte del paesaggio industriale, gli sono noti come le ombre e le luci della propria casa, gli sono così quotidiani e familiari che, aprendo l’uscio del proprio ufficio, non pare a Emanueli di essersi spostato.

Nel suo ufficio, affissa sotto vetro e stampata a grandi caratteri, lo aspetta, come un saluto, una quartina poetica; sono versi di Longfellow che riassumono il «piacere dell’invenzione» e che, intitolati «progress», dicono:

Not enjoyment, and not sorrow
is our destined end or way
but to act, that each to-morrow
find us farther than to-day.

Direttore generale della Soc. Pirelli cui, oltre la direzione del ramo cavi venne affidata, nel 1944, anche la direzione del settore gomma, l’uomo in grigio si toglie davanti a questi versi – un condensato della sua croce e della sua delizia – il cappello floscio a tese alzate e, con la calma di chi sa che nella vita non bisogna aspettarsi né «enjoyments» né «sorrows», dà una occhiata ai pezzi di gomma, alle sezioni di cavo, ai battistrada che stanno sulla scrivania, davanti a lui. Sono le cose che portano dal 1918 il suo nome nel mondo e che, talvolta, lo fanno definire dalle riviste tecniche «genio dei cavi», «tecnico principe».

Davanti a queste definizioni Emanueli, quasi perplesso, tentenna il capo in atteggiamento di dissenso, sorride. In fondo, egli non ha fatto altro che tentare sempre di sorprendersi «l’indomani più avanti di oggi»; non ha fatto altro che lasciarsi portare dal piacere di inventare, di capire la ragione delle cose.

E perfino negli hobbies si è comportato così, tanto che il suo occhio è continuamente in «progresso». Unico scopritore, forse, cui non abbia mai interessato la novità di per se stessa, ma il processo della scoperta, senza «enjoyments» né «sorrows», qualche anno fa andò al mare, e cominciò a interessarsi della navigazione a vela. Invece di affittarsi un marinaio, o comprarsi un manuale, egli cominciò a «scoprire» le leggi della navigazione a vela. Studiò gli angoli d’incidenza del vento, ricavò rapporti tra questi angoli e velocità ottenibile, scrisse un pacco di appunti.

Alla fine aveva scoperto la tecnica della navigazione a vela, vale a dire qualcosa che i fenici sapevano, e gli egiziani sapevano, e che il genere umano sapeva da millenni. Però, se era giunto alla pari dei fenici e degli egiziani, era anche giunto «farther than to-day» rispetto a se stesso. E, proprio questa, era l’unica cosa che gli interessava.

Anni fa, poi, mancò poco che una sua «legge» entrasse in vigore nel golf, sport da lui coltivato con la passione di un inglese. I bastoni del golf in uso gli sembrava che non rendessero come razionalmente avrebbero dovuto; e allora, per mesi e mesi, s’impegnò nello studio dei momenti d’inerzia che gli spoon e i driver avevano, e fece fabbricare un set di bastoni secondo i criteri di una «legge Emanueli». Erano bastoni leggermente diversi dai soliti, e quando li portò sul campo le signore restarono colpite dalla forma a becco che avevano. «Le servono per attaccarli su meglio, ingegnere?», gli chiese con atroce innocenza una signora che li osservava con interesse. Non fosse stato per questa battuta le ricerche non si sarebbero interrotte: avremmo avuto una «legge Emanueli» anche sui campi da gioco, avremmo avuto una brava e stimabilissima legge scientifica nata dall’ozio vissuto come un fatto razionale dal dissenziente e sorridente «genio dei cavi».

Nel 1953 «Mr Emanueli» compie (e anche questo con un leggero sorriso di dissenso) esattamente i 70 anni. E il famoso cavo (che nonostante il sorriso di dissenso porta il suo nome nel mondo) ne compie esattamente la metà: 35. […]

Questo cavo ad olio eliminava, per la sua costruzione e il suo funzionamento, gli inconvenienti della ionizzazione dei veli gassosi constatata da Emanueli fin dal 1911 con esperimenti e considerazioni tecniche. Era una robusta vena, efficiente e sicura, capace di trasportare le più alte tensioni elettriche fin dentro le città risolvendo un problema tattico della distribuzione d’energia. Nel 1924 il cavo poteva essere sperimentato sostenendo tensioni prima di 65 mila e poi di 132 mila volt a Brugherio. Nel ’27, dietro accordi con la General Electric Co., fu messo in opera per la tensione di 132 mila volt su due grandi linee americane destinate al rifornimento di New York e Chicago, città che nel 1925 erano già state fornite di cavi normali dall’équipe della Pirelli. Erano le più grandi linee del mondo che entravano in esercizio. Emanueli, che aveva 44 anni, aveva vinto la battaglia dell’alta tensione e negli anni successivi riusciva a innalzare ulteriormente la portata del proprio cavo, da 132 mila a 220 mila volt. Nasceva l’impianto sperimentale di Cislago e nel 1936 veniva inaugurata la grande linea a 220 mila di Parigi dell’Inter Paris.

Le conseguenze di questa tappa fondamentale raggiunta hanno portato Luigi Emanueli ai più alti riconoscimenti e l’industria per cui ha lavorato alla massima espansione e alla creazione di innumerevoli «licenziate» per la fabbricazione dei cavi. […]

Nel maggio 1944, dopo essersi esclusivamente occupato in senso ufficiale dei cavi, Emanueli assunse nella Soc. Pirelli anche la direzione del settore gomma e, con estrema soddisfazione, si trovò a partire da zero. Sono passati nove anni, da allora, ma il suo rigore scientifico nello studio dei nuovi saggi di laboratorio e nel perfezionamento di quelli esistenti ha già lasciato il segno sulle «cose». Esiste oggi un saggio «Emanueli» per la determinazione della isteresi e del modulo dinamico della gomma vulcanizzata e dei prodotti tessili; ne esiste un altro per la determinazione della resistenza alle sollecitazioni ripetute di taglio; e i risultati ottenuti nelle prove di abrasione coi perfezionamenti da lui suggeriti lasciano già prevedere con approssimazione molto maggiore che in passato il comportamento pratico delle mescole da battistrada. Tra i suoi studi più interessanti nel campo più strettamente attinente ai pneumatici sono quelli che hanno permesso di realizzare pneumatici del tipo «Cinturato» la cui struttura risulta dalla felice combinazione di tre idee fondamentali da molti anni sostenute da Emanueli: la influenza di una cintura inestensibile sulla durata del battistrada; la possibilità di disporre radialmente i fili della carcassa sfruttandone al massimo la resistenza; la convenienza di adottare per i talloni una particolare configurazione atta a diminuire le sollecitazioni derivanti dal loro movimento rispetto ai cerchi.

Non meno interessanti, poi, sono gli studi diretti a porre su basi tecniche la progettazione dei disegni di battistrada e, all’infuori dei pneumatici, la realizzazione delle cinghie trapezoidali ad elementi resistenti continui, tessili o metallici, posti su un solo piano, tipi «Monocord» e «Metalcord», l’indagine fotoelastica per il progetto del miglior profilo dei rivestimenti di pulegge per funivie, le ricerche sui rapporti fra l’anatomia delle articolazioni del piede e il disegno e profilo delle suole per calzature, l’analisi dei fattori che determinano le caratteristiche dinamiche di una palla da tennis. Dieci anni fa, questi risultati così diversi avrebbero fatto intitolare una sua biografia «Emanueli o del piacere di scoprire»: è con questo piacere nel cuore infatti che, ogni mattina, l’uomo in grigio, il milanese che passa per la vecchia periferia, «il genio dei cavi» che voleva riformare anche il golf, dopo aver chiacchierato in dialetto con l’autista per «mantener pulita la bocca», dopo aver salutato con un «good morning» sorridente la sua segretaria inglese, dà un’occhiata alle sezioni di cavo in politene e alle sezioni di battistrada che stanno sul suo tavolo, a queste sue porte aperte sul futuro. Sono le cose che, nonostante il suo dissenso e il suo sorriso, portano il suo nome dovunque. Le «cose» con cui dialoga lentamente, a bassa voce, e forse in dialetto milanese; ma che ogni giorno, in cambio, lo fanno trovare «farther than to-day», e lo fanno sentire talvolta «in progress» anche nell’ozio.