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Bartali e Coppi: il segreto della potenza

Questo studio sul tipo somatico e psichico dei due campioni illumina in modo conclusivo le ragioni per cui essi si trovano sempre di fronte, senza superarsi mai: tanto simili e nello stesso tempo tanto diversi

 

Una delle caratteristiche del ciclismo italiano su strada è quasi sempre stata la presenza di una o due figure di atleti così emergenti sulle altre da dare il loro nome all’epoca nella quale hanno dominato. Così, il periodo 1903-1908 ha avuto i suoi esponenti in Gerbi e Cuniolo, quello 1909-1913 in Ganna e Galetti, quello 1914-1925 in Girardengo, quello 1926-1932 in Binda, quello 1933-1935 in Guerra, quello 1936-1940 in Bartali; e dal 1940 siamo sotto le costellazioni Bartali-Coppi. I precedenti trapassi erano stati preceduti da un periodo che risolveva abbastanza alla svelta il duello tra l’«asso» che tramontava e quello che saliva all’orizzonte ciclistico; invece, da quasi un decennio siamo in un periodo che non è né di esclusivo predominio, né di transizione, ma di equilibrio, di condominio e di contestazione tra i due fuoriclasse che ancora si dividono la passione delle masse e la considerazione tecnica degli esperti. Questo straordinario tener duro dell’atleta che, secondo la norma, avrebbe ormai dovuto piegare sotto il peso della più fresca maturità dell’avversario è già l’espressione di una di quelle doti di così eccezionale corridore che verrò illustrando in seguito. E non è certo stata buona ventura per Coppi essersi trovato sulla sua strada un predecessore che, dopo aver accennato, sette anni fa, a firmare l’atto di successione a suo favore, ancor oggi se la vede da lui contestata e non può salire indisturbato al trono; e questo benché i risultati da lui conseguiti, su strada e su pista, abbiano il marchio dell’atleta di eccezione. Sono passati dieci anni dal giorno in cui, con la vittoria nel Giro d’Italia 1940 (conferma delle promesse fatte nel Giro del Piemonte 1939), Fausto Coppi aveva lasciato capire che c’era già chi avrebbe un giorno potuto sostituire il grande Bartali. Ma questo giorno, chiaro e senza nebbia o nuvole, ancora non è venuto e il tema Bartali-Coppi rimane tuttora, con tutta la sua forza d’attrazione e d’esplosione, al centro delle grandi corse alle quali i due partecipano, ancora la simpatia e la valutazione popolare si dividono e si contrappongono fra i due campioni, ancora non è venuto il momento in cui si possa dire, confrontando il bilancio di carriera dell’uno e dell’altro, qual è il più attivo, perché nessuno dei due ha ancora chiuso i conti.

Come quasi tutti i corridori ciclisti, Bartali e Coppi sono di modeste origini (muratore il padre del primo e rurale quello del secondo); l’uno è terzo di quattro figli e l’altro è secondo di cinque, cioè entrambi di prolifico ceppo. Nessuno dei due andò molto avanti nelle scuole, ma entrambi si diedero presto al ciclismo e a 21 anni avevano già iniziato la professione di corridori. Vinsero la loro prima grande corsa nel primo anno di professionismo: Bartali la tappa Portocivitanova-Aquila del Giro d’Italia 1935, per distacco, e Coppi la Firenze-Modena, pure per distacco, del Giro 1940, il che, insieme alla Bari-Campobasso del 1913, alla Napoli-Bari del 1925 e alla Napoli-Roma del 1930, rispettivamente prime grandi vittorie di Girardengo, Binda e Guerra, farebbe dire che il Giro d’Italia sia la prova che rivela e che lancia i campioni. Esse, inoltre, confermano la norma secondo la quale la vera e grande classe di un atleta si manifesta immediatamente; in ciclismo, infatti, non si ricordano prodotti tardivi (non in relazione all’età – ché Guerra sarebbe uno di questi – ma al tirocinio) eccellenti.

È indubitabile che Bartali e Coppi sono i due più grandi corridori ciclisti del periodo che sta a cavallo della guerra, ma la differenza della loro individualità somatica e psichica è profonda e sta a dimostrare che non esiste e, forse, non può esistere il biotipo ciclisticamente perfetto e ideale, cioè superiore in tutte le specialità ciclistiche. […]

Diversi nel fisico, Bartali e Coppi non lo sono meno nel carattere. Noto è il sincero e aperto sentimento religioso del «pio Gino», che la disgraziata fine in corsa del fratello Giulio ha reso ancor più sentito e profondo e dal quale, oltre che da naturale bontà d’animo e da senso umano e familiare, proviene la sua benefica generosità. Ciò non toglie che Bartali sappia, come Coppi, essere buon amministratore del suo patrimonio atletico. Egli è più verboso ragionatore che riflessivo; ha impulsi di insofferenza alla critica, specie quando questa lo mette in rapporto a Coppi, tendenza a illimitata fiducia come a sorda diffidenza, crede in se stesso più di quanto non dica, ma non lo si può certo accusare di vuota presunzione. È sempre stato, spiritualmente, un puro, ma il suo regime di vita, tuttora moralmente irreprensibile, non è più così severo e rigido come un tempo.

Taciturno, ma più acuto, ipersensibile anche se apparentemente più freddo, Coppi ha un morale estremamente impressionabile dalle sue condizioni di forma, dalla qualità dell’avversario e dall’ambiente. Della sua rivalità con Bartali è lui, logicamente, che più sente il peso della responsabilità e l’incubo del pericolo. Su questo dualismo ci sarebbe da scrivere a lungo e non è facile valutare le ragioni umane, professionali e sportive che lo motivano, lo acuiscono e, talora, lo traviano. Certo, esso è uno dei temi centrali dell’attuale momento ciclistico italiano, e dei più delicati, non essendo facile precisare sin dove possono e devono andare il diritto del più anziano a difendersi e il dovere del più giovane ad attaccare, la facoltà per entrambi di mettere al di sopra di ogni considerazione sportiva quella del proprio interesse e la pretesa di chi allo sport chiede il soddisfacimento delle proprie aspirazioni sportive e nazionali.

Un’analisi dei due campioni più completa e definitiva di questa potrà essere fatta solo il giorno in cui essi avranno finito di meravigliare il mondo sportivo con le loro imprese. Il 1949 li vede entrambi sulla breccia e ci promette parecchie occasioni nelle quali ognuno di essi cercherà di superare se stesso e l’avversario.