Il Brasile arcaico e primitivo di Giuseppe Ungaretti, la Versilia lieve e allegra di Eugenio Montale, la Sicilia bianchissima di luce di Salvatore Quasimodo: tra il 1949 e il 1951, la classica triade degli scrittori ermetici italiani contribuisce a connotare la Rivista Pirelli, nata nel 1948, come un giornale aziendale aperto alle più grandi firme della letteratura contemporanea.
E’ già al massimo della fama Giuseppe Ungaretti quando pubblica, sulla Rivista n° 1 del 1949, la raccolta di sonetti “Vecchio Brasile”. Un componimento complesso e geniale: la traduzione in italiano delle “cronache” che il poeta brasiliano Oswald de Andrade, tra il 1924 e il 1925, ha immaginato come fossero scritte da esploratori e conquistatori di un’Amazzonia persa nella notte dei tempi. L’opera originale di Andrade s’intitola “Pau Brasil” -l’Albero del Brasile- ed è espressione del movimento Modernista che negli anni Venti del Novecento anima il clima letterario del Paese sudamericano: in altre parole, la riscoperta di un Brasile dell’Età dell’Oro. Ungaretti, che ha insegnato all’Università di San Paolo dal 1936 al 1942, aggiunge a quelle di Andrade un’ulteriore “cronaca” scritta per la Rivista, di cui lui stesso è l’autore: si intitola “Boschetti di cahusù”. “Con la sua gomma/quegli Indi fanno bottiglie e otri…E seringa è la gomma/E chi la va estraendo è il seringueiro/E il seringal è lo strano boschetto…”. Le foto che accompagnano l’articolo sono state scattate quarant’anni prima da Alberto Pirelli, figlio del Fondatore Giovanni Battista e vicepresidente della Pirelli nel 1949, durante un suo viaggio di studio presso le piantagioni di caucciù a Manaus, in Amazzonia. Lo “scherzo ungarettiano” viene ripreso anni dopo -Rivista Pirelli n° 1, 1953- dal critico letterario Giansiro Ferrata come esempio di un vivere “dentro” la poesia.
Rivista Pirelli n°4, luglio 1949: “Vacanze in Versilia” porta la firma di Eugenio Montale. Diario minimo di una vacanza tra Forte dei Marmi e Marina di Pietrasanta: “un delizioso buco nascosto tra il verde”, con un pergolato d’uva acerba “per vedere senza essere veduto, come piace a me”. Il risultato è un racconto di lieve e stupefacente umorismo, denso di quella divertita leggerezza che il poeta sa dispensare a tratti, con parsimonia, per non turbare il suo distaccato riserbo. E come Montale racconta di Versilia per la Rivista, lo scrittore lucchese Ermanno Pea si sta accingendo a raccontare a sua volta per lo stesso giornale“Mezzo secolo della Versilia”, articolo pubblicato sul n° 4 del 1953.
Salvatore Quasimodo ha già firmato per la Rivista nel 1949 la traduzione del XXIII Libro dell’Iliade, “Giochi funebri in onore di Patroclo”. Ma per restare in tema di paesaggi ermetici, non possiamo non andare a “Muri siciliani”, sul n° 5 del 1951. Poche righe, neppure mezza pagina, ma di estrema densità per descrivere un uomo che costruisce la propria casa sul mare di Trabia: l’Uomo operaio e padrone, architetto e ingegnere, l’Uomo a piedi nudi e dalle “mani di carta vetrata”, che ha “un’unghia violacea pestata da una trave”. E la sua casa è tagliata nella luce, una casa schiumante che potrebbe scivolare come un veliero dentro il mare. Una lettera d’amore che il poeta siciliano scrive a una terra che è stata greca ma anche primitiva, normanna, saracena, spagnola, alla ricerca di una memoria che rievochi “forme semplici e precise dove abita l’uomo che mi è stato compagno e amico per millenni”…