La rivista «Pirelli» ha compiuto i suoi dodici mesi di vita, ed inizia con questo numero il suo secondo ciclo.
L’iniziativa ha avuto successo: lo testimoniano il vivissimo interesse che essa ha suscitato in Italia ed all’estero, le adesioni e le autorevoli collaborazioni avute. Non sono mancati gli scettici in partenza, che hanno poi sinceramente espresso la loro meraviglia nel vedere prosperare così una pubblicazione che sembrava difficile poter alimentare a lungo: ma la fiducia che aveva manifestato il dott. Alberto Pirelli quando presentò il primo numero di «Questa nostra rivista» era pienamente giustificata e meditata.
La nostra vita di lavoratori, ai quali è posto l’assillante problema di produrre, sempre più rapidamente ed abbondantemente, i mezzi necessari per le crescenti esigenze materiali dell’umanità, è insidiata da un pericoloso imperativo utilitarista e ci inserisce spietatamente in un vortice di esasperati fenomeni meccanici e di fredde leggi economiche, dal quale sentiamo sempre più viva la necessità di salvezza.
Questa necessità di nobilitare la nostra fatica è tanto più pressante, e questa necessità di evasione è tanto più acuta, quanto più vivo è il fenomeno materiale che vorrebbe soggiogarci. È una reazione provvidenziale: la superiore necessità di ristabilire l’equilibrio attraverso forze contrastanti, perché l’armonia necessaria riprenda, e continui a rendere possibile la vita, salvandone i valori migliori.
Per evitare che lo squilibrio si manifesti letale, bisogna che vita spirituale e vita materiale procedano insieme, senza dannose deformazioni e pericolosi turbamenti. E dove è più opportuno cercare che questo equilibrio e questa armonia si verifichino ed operino, nel punto stesso in cui la frattura potrebbe più facilmente minacciare? Non è un miracolo che un’industria, cioè una organizzazione tipicamente utilitaria che ha per compito di produrre mezzi materiali di vita, si ponga anche il compito più caldo ed elevato di portare sul piano della cultura problemi che si è usi considerare di ordine inferiore (rivelandone gli aspetti trascendenti agli stessi tecnici che direttamente li vivono senza darsene conto ed agli artisti che non ne hanno sospettato l’esistenza); e cerchi nella materia quotidiana, apparentemente arida, quanto vi è di meglio, tendendo a lievitarlo e fecondarlo con la grande forza dello spirito. Non è un miracolo: ma soltanto un fatto naturale di giusto intuito e di orientamento, è un segno di sensibilità e di previdenza. È una manifestazione dell’istinto di conservazione – per l’elevazione – della nostra specie.