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Una P lunga cinquant’anni

L’idea della maiuscola che allungandosi in orizzontale copre a tettoia le altre lettere che compongono il nome, nacque a New York in un giorno del lontano 1908. Fu una trovata del momento, dovuta a una richiesta del rappresentante che la Pirelli aveva allora sul posto. La selva commerciale e pubblicitaria già andava oltremodo infittendosi da quelle parti e un nome non proprio ignoto ma certo ancor giovane aveva necessità di spiccare con un suo segno preciso per non andare sommerso.

– Questo le andrebbe? – chiese il visitatore arrivato fresco fresco dall’Italia. E tracciò su un foglio, in modo ancora approssimativo, una P di forma del tutto insolita.
– Sì che potrebbe andare. – rispose l’altro alla prima occhiata – Va anzi benissimo. – Guardava e riguardava quella P campeggiante su un cartello o sullo sfondo del cielo.

Fu cosa fatta in America, ma lo fu subito anche da noi, al rientro del proponente dal suo viaggio d’affari.

L’anno prima c’era stato l’exploit della Pechino-Parigi. Grazie alle gomme Pirelli, 17 mila chilometri di scosse, pietrisco, polvere e fango erano stati divorati tra giugno ed agosto senza eccessivi inconvenienti dall’Itala di Barzini e Borgese.

La fama, già robusta per via dei cavi e degli articoli vari in gomma, cominciava a toccare anche i pneumatici, o meglio gli pneus, come le persone ricercate usavano dire allora e come volentieri ripetevano le scritte, le insegne, le carte intestate (francese fu dapprima la fortuna delle parole nel ramo: semelle, noir ferré, eccetera; anglosassone in seguito).

La Pirelli, che è anche cavi e materie plastiche, ancora oggi è presente alla mente del pubblico soprattutto come gomma. C’è un’evidente ragione commerciale, di prevalenza nel consumo in tutto ciò, ma ci dev’essere anche un motivo inconscio. Forse non siamo lontani dal vero identificando tale motivo parte nei successi sportivi, fin dal tempo in cui una corsa automobilistica si chiamava ovunque Grand Prix, parte nel richiamo alla nozione di elasticità che il segno di cui si discorre non manca di suggerire. Guardate l’occhiello della P che s’allunga e dite se non ricorda la definizione studiata nel libro di fisica a proposito di quella proprietà per cui i corpi riprendono, dopo una deformazione, l’assetto primitivo.

Ma a questo punto chiedersi se il concetto di elasticità abbia suggerito la P lunga o se il segno della P lunga abbia ricordato al pubblico la nozione di elasticità è riproporre la questione oziosa dell’uovo e della gallina. Varrebbe solo, semmai, come sintomo che il segno era azzeccato, se già non bastassero a provarlo cinquanta anni di fortuna pubblicitaria e dunque di popolarità.

Da cinquant’anni infatti il corpo della P maiuscola, dopo essere stato quasi occasionalmente deformato una volta, mai ha accennato a riprendere l’assetto primitivo. La deformazione ha una sua iniziale irrequietezza, una sua piccola storia che è, diremmo, calligrafica prima di essere decisamente grafica e di stabilizzarsi come tale. Pagò in principio un tributo al gusto floreale e dell’ornato, nel modo di atteggiarsi come P maiuscola e nello svolazzante influsso esercitato talora sulle altre lettere con cui si compose; una volta si stirò per la verticale lungo l’asta della P mortificando un poco l’occhiello; un’altra volta si intrecciò alla parola pneu raggrumandosi in radiatore, cofano, telaio, in profilo di rossa vettura da corsa; un’altra ancora gettò il suo influsso sulla esse finale di pneus scatenando una muta snodata e multicolore di centauri, in tutto parente, agli occhi dell’odierno osservatore, della rombante masnada che abbiamo visto riempire le prime inquadrature del film «Il Selvaggio».

Il fatto più curioso è appunto quella specie di felice contagio che la P del nome Pirelli esercitò allora sulle parole destinate a convivere con essa nello spazio pubblicitario. Indicativi per tutti, il binomio PNEUS PIRELLI e più tardi PIRELLI CORD con la costante delle iniziali allungate: fino all’odierno binomio PIRELLI LASTEX, riverbero di quell’antico fenomeno di reciproca attrazione, di simpatia grafica.

L’elastico occhiello che si tende e si stira ispessendosi alquanto nel punto terminale e tondeggiante dove l’invisibile dito lo trattiene impedendogli di scattare all’indietro a riprendere l’aspetto iniziale, è una specie di intuizione disneyana ante litteram. Ricorre come un personaggio in una vicenda e genera a sua volta personaggi: dà il nome a un capitolo di quel fiorito e ispirato racconto che è la pubblicità da manifesto dei primi vent’anni del secolo. Il dito continua a tirare l’elastico, e intanto nascono il Pierino di Codognato a cavallo del velocipede; l’alato bimbetto che scalcia in un firmamento di palle variopinte; la volpe in fuga accovacciata sul pneumatico (segugi e cacciatori non la raggiungeranno…); e un signore chiuso nell’impermeabile sotto la pioggia battente di sbieco calpesta allegro due inutili ombrelli; un altro Pierino, impacciato dall’ombrello e non altrettanto al riparo, è però altrettanto soddisfatto dell’ottima prova che le GOMME PIRELLI per CANCELLARE danno sulla pagina scritta del quaderno insidiato dalle gocce piovane (e ancora una volta la P trascina nell’allungamento la G e la C). Finché il dito cessa di tirare e il limite di elasticità parrebbe ora raggiunto e il racconto – siamo già dopo il ’20 – quietarsi: porta in primo piano personaggi apparentemente più reali, di fatto più compassati, l’occhiello s’irrobustisce e si uniforma dopo il ’30, alla luce fredda della STELLA BIANCA. Un’evoluzione è in corso nel gusto, nel costume grafico; l’estro, se non bandito, pare attenuato. Le variazioni riguardano più le altre lettere del nome o i caratteri delle parole cui questo s’accompagna; ogni divagazione calligrafica è lontana, lontano ogni svolazzo, intreccio od uncino, subentra una specie di spigolo terminale nell’asta della P e ogni tanto, ahimè, una qualche presunzione lapidaria nei caratteri delle scritte. Sicché, subito dopo il ’45, la tradizione grafica del nome si presentava abbastanza variata e contraddittoria e necessitava d’una regola. Di pari passo con l’evoluzione dell’arte grafica, che almeno in questi fatti di base porta verso la semplicità e l’unità di linguaggio, fu stabilito una volta per tutte il valore del carico da applicare alla P onde, cessata la sollecitazione, restasse permanente la misura della deformazione; fissati gli spessori delle altre lettere del nome così da renderle immutabili dall’uno all’altro corpo tipografico; definita nel carattere Cairoli la fisionomia degli slogan di accompagnamento, dei testi illustrativi e di contorno. Oggi sembra impossibile che altri mutamenti o innovazioni possano verificarsi nella scrittura del nome. Per la verità l’anno scorso fu l’occhiello a dare qualche nuovo segno di irrequietezza. Presumendo, a buon diritto per quanto s’è visto, di essere lui, e lui solo, l’elemento caratterizzante, propose per bocca e anche per mano di un amico che ne diede un esempio visibile, di essere lui, e lui solo, a prendersi il peso del richiamo assorbendo del tutto l’asta della P e concedendo in cambio di riprodurre nella sua area interna le normali lettere dell’intero nome. Non sappiamo se sarà accontentato. La cosa non sembra comunque riguardare l’immediato futuro.