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L’occhio della telecamera

Preliminari

Il problema preliminare a ogni discorso sui rapporti fra la tv e le altre forme di spettacolo riguarda l’economia e la sociologia piuttosto che l’estetica. Formulato nella maniera più semplice si riassume nella domanda: la tv ha sottratto e continua a sottrarre spettatori alle forme di spettacolo tradizionali? Da questo interrogativo ne scaturisce inevitabilmente un altro: è in corso un processo attraverso il quale la tv è destinata a sostituire in massima parte, nel favore e nel consumo del pubblico, il teatro e il cinema?

Un’occhiata alle statistiche più note è sufficiente per formulare una risposta affermativa alla prima domanda; mentre la risposta alla seconda si può tranquillamente rimandare al futuro, per quel che riguarda i limiti attualmente imprevedibili della diffusione della tv, ma senza insistere sul tono apocalittico in uso qualche anno fa.

[…] In taluni casi si potrebbe addirittura affermare, sfiorando il paradosso, che la tv ha contribuito a concentrare l’attenzione di più larghi strati di pubblico verso le forme tradizionali di spettacolo. Per quanto riguarda il cinema basterà ricordare l’esempio della riesumazione di film del ventennio ’30-’50 sulle varie reti della tv americana; tale massiccia operazione di rilancio dei vecchi prodotti ha rinnovato l’interesse del pubblico verso i grandi attori e i registi del passato. Considerata commercialmente poco felice dalle stesse case cinematografiche che avevano ceduto i loro film alla tv, non si può negare che l’operazione abbia contribuito nell’insieme al prestigio dell’industria di Hollywood: se non sul terreno dell’attualità economica, almeno su quello dell’arte e del costume.

Il teatro di prosa, tanto per fare un altro esempio, ha avuto in Italia dalla tv un considerevole colpo negli incassi e un indiscutibile rilancio psicologico. La trasmissione regolare di commedie e romanzi sceneggiati può aver incanalato un nuovo pubblico verso il teatro, sotto la spinta di un neodivismo televisivo più forte ormai di quello cinematografico. È caratteristico il caso di alcuni attori pressoché sconosciuti quando esordirono alla tv e che sull’onda della popolarità conquistata attraverso lo «schermo di famiglia» hanno fatto in seguito una eccellente carriera teatrale, spesso diradando le loro apparizioni sul video. La maggior parte degli attori, del resto, mette a frutto la notorietà acquistata alla tv per fare il teatro, il cinema, i fotoromanzi e la pubblicità, portando quindi su queste forme l’interesse dei loro ammiratori. Negli ultimi cinque anni la tv ha contribuito notevolmente alla divulgazione di talune forme spettacolari.

[…] Un potenziamento notevolissimo è stato impresso dal video alla canzone e agli spettacoli musicali, che in questo periodo appassionano un numero incredibile di persone, tanto da far parlare di una forma di psicosi collettiva. Si deve alla tv anche un relativo risveglio d’interesse per forme di spettacolo considerate fuori moda, come il circo e l’operetta, o riservate a un pubblico specializzato, come i concerti di jazz (purtroppo non si può dire lo stesso per la musica sinfonica e da camera, che è quasi completamente ignorata nei nostri programmi). Nel campo dello sport, che alla tv è considerato soprattutto spettacolo, il video ha rinnovato la passione per il ciclismo, languente per l’invecchiamento o l’abbandono degli assi più popolari; ha anche suscitato un certo movimento di curiosità intorno ad attività sportive tradizionalmente poco seguite in Italia, come il pugilato e l’atletica leggera. Ma vedremo meglio la complessità dei rapporti fra la tv e le forme tradizionali dello spettacolo caso per caso. Naturalmente una trattazione per generi, imposta dalla brevità del nostro studio, comporta qualche arbitrio e qualche approssimazione.

Il cinema

Negli Stati Uniti il progresso della tv si è inserito di prepotenza sulla stanchezza della produzione cinematografica. Più volte è stato osservato che, tv o non tv, il cinema hollywoodiano sulla svolta degli «anni cinquanta» avrebbe comunque dovuto fare i conti con le proprie insufficienze; la diffusione della tv non ha fatto che aggravare e affrettare un processo già in corso e dovuto a diversi fattori: la decadenza del divismo, lo sfruttamento eccessivo di formule spettacolari superate, la concorrenza della produzione «intellettuale» europea e giapponese, la censura. Alla concorrenza della tv il cinema americano ha risposto riducendo la produzione e il numero delle sale, e applicando la politica del wider and deeper (più vasto e più profondo), che ha per obiettivo la fabbricazione di un prodotto spettacolare completamente diverso da quello offerto dalle diverse reti televisive.

Il colore non bastava ad assicurare un margine stabile di differenziazione fra cinema e tv in un Paese dove la cromotelevisione era già a buon punto; l’esperimento tridimensionale, affrontato fra gli ultimi mesi del ’52 e i primi del ’54, diede risultati disastrosi per la macchinosità del ricorso agli occhiali necessari a ogni spettatore, e fu subito abbandonato; la stessa sorte si può prevedere ai recenti esperimenti di cinema olfattivo. La politica del grande schermo, inaugurata sul finire del ’53, ebbe invece esito felice, con il lancio del Cinemascope, del VistaVision, del Cinerama e degli altri sistemi di ripresa e proiezione che assicurano allo spettatore una visione molto più ampia e nitida di quella della tv.

La concorrenza della tv, in definitiva, ha inciso soltanto sulla zona intermedia della produzione cinematografica, quella dei film di medio costo e di ambizioni puramente commerciali. A tenere le posizioni del cinema, che sembrano assestate in maniera stabile e accennano forse a una lieve ripresa, sono rimasti i film «colossali» e quelli di buon livello artistico: cioè le due forme di spettacolo cinematografico che la tv, per i suoi stessi limiti pratici e moralistici, può imitare ma non uguagliare. In questo senso non si può dire davvero che sul piano estetico la tv abbia fatto del male al cinema.

Vediamo ora quali sono le forme di spettacolo televisivo strettamente legate al cinema.

  • La trasmissione di film preesistenti, realizzati per le sale cinematografiche e non per la tv. In Italia il programma non sembra molto gradito e, salvo casi eccezionali di film di particolare valore artistico, ha carattere di riempitivo. In Francia, per esempio, è più in uso. […]
  • I telefilm. Si tratta di una forma ibrida, in quanto i film realizzati per la tv si distinguono da quelli realizzati per le sale cinematografiche solo per la minore durata (dai venti minuti a un massimo di un’ora e mezza) e per taluni accorgimenti di realizzazione suggeriti dalla necessità di spendere poco. La ripresa di un telefilm somiglia più alla registrazione di un originale televisivo che alla lavorazione di un film vero e proprio. L’azione prevede pochi ambienti, un numero limitato di attori, una prevalenza di scene in interno. Gli ambienti sono quasi sempre ricostruiti in un unico teatro, come avviene per gli originali televisivi, allo scopo di risparmiare tempo: pochi giorni, infatti, sono di solito sufficienti alla ripresa di un telefilm.

A volte il telefilm rappresenta una realizzazione isolata; più spesso s’inserisce in una serie avventurosa, poliziesca, sentimentale o comica, imperniata su personaggi fissi in situazioni sempre diverse. La tv ha così riportato in onore la tecnica e il gusto dei serials realizzati agli albori del cinema. Sul piano del linguaggio le possibilità del telefilm coincidono in teoria con quelle del film cinematografico. In pratica le ridotte dimensioni dell’immagine inducono i registi a narrare soprattutto con inquadrature in «campo medio» e in «primo piano», escludendo i «campi lunghi» e i «totali», inefficaci e confusi soprattutto quando sono affollati. L’interesse del realizzatore è puntato sui fatti piuttosto che sullo stile, anche perché l’illuminazione dello studio tv non consente, per le solite ragioni di rapidità, la minuziosa cura della fotografia concessa all’operatore cinematografico.

È innegabile che il fenomeno dei telefilm, preso nell’insieme, interessa più il commercio che l’arte. Nonostante ciò, prima di condannare i serials del video, si deve sottolineare, nei casi più riusciti, il contributo che danno alla definizione estetica della «novella cinematografica», una forma che la misura obbligata del film spettacolare aveva progressivamente bandito dagli schermi. Sul piano realizzativo si può osservare che i telefilm, proprio per l’agilità che deriva loro dal basso costo, non osservano tabù di natura divistica e offrono talvolta delle occasioni sostanziose a interpreti, scrittori o registi trascurati dalla produzione cinematografica.

Anche nel campo dei telefilm l’esemplificazione, nel meglio e nel peggio, è quasi esclusivamente americana. Accanto a serie che sembrano illustrare l’aspetto più corrivo del cinema commerciale, ve ne sono altre realizzate con apprezzabile continuità di gusto e riconoscibile impegno. In Italia nel campo del film realizzato appositamente per la tv non si è ancora andati oltre lo sperimentalismo, con risultati per lo meno dubbi.

  • Il documentario realizzato per la tv. […] I documentari realizzati appositamente per la tv si rifanno al giornalismo di attualità e tendono a rompere il diaframma che separa l’immagine dallo spettatore: a mettere cioè quest’ultimo in contatto con la realtà, per mezzo soprattutto di interviste dirette. Nella produzione della tv italiana questa formula, che ha dei precedenti storici nei cinegiornali all’americana, si è integrata qualche volta felicemente con la poetica del Neorealismo; e ha contribuito alla scoperta di alcuni aspetti misconosciuti della nostra vita e all’illustrazione di una problematica sociale. Dell’attualità come spettacolo diremo a parte. I servizi giornalistici della tv sono spesso apprezzabili sul piano tecnico per tempestività e vivacità, a parte le considerazioni rituali sulla tendenziosità politica e sull’arbitraria limitazione degli argomenti. La tv italiana non sfiora neppure alla lontana gli argomenti di cronaca nera e giudiziaria; un atteggiamento che evita certi eccessi all’americana, ma riduce anche molto la portata del servizio. Bisogna tuttavia osservare che l’attualità televisiva ha quasi completamente svuotato d’interesse i cinegiornali. […]

Il teatro drammatico

Il discorso sul teatro drammatico alla tv è strettamente connesso a quello sui rapporti con il cinema. La messinscena di commedie e drammi per il video trova i suoi precedenti in un cinema di carattere fototeatrale, che prese piede nei primi anni del sonoro. Fu intorno al ’30 che gli attori e i registi di teatro cominciarono a dedicarsi con maggiore continuità al cinema, trasferendo a volte sulla pellicola i loro spettacoli più apprezzati. Per molti anni la critica, pur apprezzando dov’era il caso il contributo dei singoli artefici, continuò a considerare il teatro filmato un genere intermedio fra la prosa e il film, privo per definizione della purezza espressiva propria alle opere pensate esclusivamente per il cinema.

Questi scrupoli puristi sono caduti nel secondo dopoguerra, di fronte ad alcuni risultati eccezionali del fototeatro. La critica francese ha il merito di aver difeso e valorizzato il cinema d’adaptation, che oggi non viene più considerato un genere inferiore e contaminato. È chiaro infatti che il regista cinematografico può presentare un’interpretazione molto personale di un testo teatrale, valendosi di un linguaggio rigorosamente filmico […].

Le stesse considerazioni critiche conferiscono pieno diritto anche al teatro drammatico visto attraverso le telecamere. […] Esistono tuttavia alcune limitazioni pratiche che finiscono per assumere un certo valore anche sul piano estetico. In primo luogo si deve notare che il regista tv segue l’azione attraverso i due o tre punti obbligati (anche se parzialmente mobili) delle telecamere; non ha quindi l’infinita varietà di angolazioni di cui dispone il regista cinematografico. Di più, il regista tv deve eseguire il montaggio delle immagini scegliendole sul monitor durante la trasmissione, cioè mentre l’azione è in corso; rincorrendola, quasi, nell’assillo di sottolinearne i valori. […] Altre limitazioni; gli attori devono recitare ogni atto di fila, affidandosi alla memoria e a un minimo soccorso del suggeritore (ma talvolta al più consistente ausilio di cartelli e scritte fuori campo); macchine e microfoni devono giostrare intorno agli interpreti senza far sentire la propria presenza, cioè in uno spazio ridottissimo; l’illuminazione, come accade per i telefilm, non ha tutte le possibilità espressive del cinema.

 

Ci sembra perciò giusto definire la prosa alla tv come uno spettacolo teatrale sostenuto e sostanziato da alcune risorse di carattere cinematografico. Pur facendo uso di trasparenti, sfondi fotografici e inserti filmati, il regista tv è legato allo svolgersi dell’azione secondo un ritmo tipicamente teatrale. Può far sentire il suo peso sul piano visivo, imponendo uno stile alle immagini, ma non godrà mai della libertà di un regista cinematografico e non potrà staccarsi granché dal teatro. Le sue possibilità espressive sono ancora ridotte, fin quasi a scomparire del tutto, nel caso che l’opera drammatica non sia trasmessa da uno studio ma ripresa da un normale teatro; in questo caso l’illuminazione peggiora, la posizione frontale delle telecamere non consente frequenti variazioni di inquadratura, la scenografia e la recitazione non rispondono alle esigenze di una ripresa televisiva. A proposito della recitazione si può aggiungere che nella tv l’attore deve orientarsi più verso il cinema che verso il teatro: il video infatti non tollera eccessi nella dizione, fa rilevare implacabilmente ogni forzatura in senso teatrale.

È interessante notare che anche per quel che riguarda la crisi del teatro drammatico, come abbiamo già visto per il cinema, le spese della concorrenza televisiva le ha fatte il cosiddetto «teatro di consumo», lo spettacolo medio, e non lo spettacolo di eccezionale livello artistico. Proprio alla tv, invece, si è rifugiato il repertorio più fiacco e anonimo del teatro italiano fra le due guerre, che sta beneficiando di un inutile rilancio. Accanto a queste commediole, ma sempre con discutibili criteri di discriminazione moralistica, la tv italiana presenta anche opere drammatiche di maggior impegno e classici, in allestimenti quasi sempre più che apprezzabili dal punto di vista tecnico e artistico.

L’originale televisivo

Per originale televisivo si intende uno spettacolo drammatico di varia durata che viene ripreso con la tecnica tele-teatrale, sempre come fosse in trasmissione diretta anche quando la diffusione non è immediata e si ricorre alla registrazione. Il genere stilisticamente sta fra il teatro e il cinema […].

Converrà aggiungere che l’originale tv ha avuto qualche anno di fioritura negli Stati Uniti, dove un intero gruppo di giovani scrittori ha saputo inserirvi preoccupazioni psicologiche e sociologiche, in una dimensione intimista e neorealistica favorita dai limiti del mezzo. […] In Italia, dove la crisi della drammaturgia teatrale è ben più sensibile che negli Stati Uniti, l’originale tv non ha ancora dato frutti importanti. Il genere è poco coltivato dalla nostra tv, che preferisce orientarsi sui romanzi sceneggiati a puntate, ideati e realizzati come opere drammatiche od originali. I romanzi sceneggiati derivano la loro struttura episodica dal cinema muto e dai loro precedenti radiofonici.

L’opera lirica, l’operetta e lo spettacolo musicale

[…] Nel panorama odierno, a una parziale rinascita dovuta all’operosità di ottimi musicisti e cantanti nonché al miglioramento della messinscena, fa da contrappeso la vita economicamente precaria degli enti lirici, largamente sovvenzionati, e l’innegabile inaridimento del filone creativo dopo la grande stagione del melodramma verista. Alla tv l’opera viene trasportata con criteri analoghi a quelli che sovrintendono all’esecuzione di un testo drammatico e secondo formule già sperimentate nei melodrammi filmati. Un inconveniente è rappresentato dal fatto che l’opera alla tv, come del resto le parti cantate dell’operetta e di alcuni spettacoli misti di prosa e musica, deve servirsi del playback […]. Anche se è opinione comune che il melodramma sottratto al suo ambiente naturale perda una parte del suo fascino, si sono dati numerosi casi di opere eseguite alla tv con proprietà e decoro. Non risulta che la tv abbia distratto dai teatri lirici l’afflusso degli appassionati, mentre invece è noto che molti artisti hanno trovato sul video un eccellente trampolino di lancio. Lo stesso si può dire dell’operetta, che anzi ha avuto dalla tv un parziale rilancio. […] Il balletto, lo spettacolo di varietà musicale, la rivista e il musical vero e proprio sono alcuni fra i generi più assiduamente coltivati dalla televisione. Il piccolo schermo favorisce l’esibizione individuale del comico, del cantante o del ballerino, piuttosto che i grandi quadri coreografici ricalcati dai film musicali americani: ma anche questi vengono realizzati, alla tv italiana, con alterna fortuna e con decoro.

 

Il regista può rompere la monotonia di una sfilata di attrazioni in uno spettacolo di varietà cambiando l’illuminazione, la posizione degli interpreti, le inquadrature e la loro scelta; oppure, come s’è visto recentemente alla tv italiana, con trucchi elettronici che consentono di ingrandire, rimpicciolire, dimezzare e moltiplicare le persone, o di inserire nell’inquadratura elementi disparati.

[…] Nella ripresa degli spettacoli di circo, che avviene sempre in collegamento con l’uno o l’altro dei complessi esistenti, la tv segue i criteri stilistici e tecnici delle telecronache d’attualità. I circhi sollecitano la collaborazione della tv per ragioni pubblicitarie e, a quanto pare, riescono ad allargare la cerchia della loro clientela dopo ogni apparizione sul video.

Lo sport come spettacolo

Alla tv la telecronaca di una partita di calcio, di un incontro di pugilato, delle fasi salienti e dell’arrivo di una gara ciclistica, assume soprattutto un valore di spettacolo. Come si vedrà meglio parlando delle telecronache d’attualità, la tv riesce a estrarre dall’avvenimento che sta riprendendo gli elementi spettacolari. In questo senso, pur annullando la possibilità della partecipazione viva dello spettatore, una buona ripresa di un avvenimento agonistico soddisfa quasi completamente l’appassionato, che spesso è messo in grado di seguire più da vicino e attentamente le varie fasi dell’avvenimento stesso. Perciò gli accordi fra la tv e gli organizzatori di gare sportive sono sempre difficili e laboriosi: la telecronaca diretta, infatti, riduce inevitabilmente le presenze del pubblico e produce un danno economico che dev’essere compensato in partenza. È stato notato che le ampie telecronache e i servizi con interviste e commenti che la tv dedica a determinate manifestazioni di grande rilievo attenuano l’interesse del pubblico per i giornali sportivi e ne riducono la tiratura.

L’attualità come spettacolo

Il contributo più originale della tv alle arti dello spettacolo è senza dubbio la capacità già rilevata di individuare attraverso l’occhio quadrato delle telecamere gli elementi spettacolari, cioè potenzialmente drammatici, di un qualsiasi avvenimento colto nell’atto stesso in cui si svolge. È una forma perfetta di giornalismo, tempestiva al massimo e ai limiti dell’obiettività pur essendo già interpretata drammaticamente. Infatti il varo di una nave, un matrimonio, una manifestazione di piazza, la cerimonia di una premiazione assumono sul video un rilievo narrativo, quasi di interpretazione elaborata, che tuttavia si avvale esclusivamente e rigorosamente di elementi reali.

Si potrebbe dire, arrischiando un’iperbole, che la tv è in grado di cogliere il potenziale drammatico intrinseco nei fatti e negli incontri umani, la loro capacità di attuarsi in narrazione e in spettacolo. […] Di fronte a una riuscita telecronaca siamo spesso costretti ad ammettere che non c’è spettacolo più affascinante della realtà, non c’è suspense meglio preparata di quella che il caso si preoccupa di tenere in piedi, non c’è attore più bravo di un uomo qualsiasi che «interpreta» se stesso davanti alle telecamere. Il confronto con questo aspetto della tv, a nostro avviso, può giovare alle forme tradizionali dello spettacolo, contribuire al loro svecchiamento, alla loro depurazione da ogni scoria letteraria o estetizzante.

L’attualità come spettacolo televisivo apre due diverse prospettive all’uomo d’oggi. Da un lato può contribuire ad affinare la sua maniera di osservare la realtà, a suscitare le sue curiosità per gli aspetti che di volta in volta il video porta in primo piano; in questo senso, naturalmente, la tv ha un evidente valore pedagogico e divulgativo. Dall’altro lato c’è il rischio che l’abitudine a considerare la realtà attraverso la mediazione della «camera» possa atrofizzare l’interesse per il fatto vero, indirizzandolo decisamente verso la rappresentazione. Tra questi due poli, positivo e negativo, è compresa l’intera gamma delle possibilità della tv, la chiave della sua influenza sul mondo in cui viviamo. […]